LE VOCI DEL SILENZIO
XXIV Rassegna di Teatro delle Scuole 2011 - LODI

LA MAGIA DEL SILENZIO
Giannetta Musitelli
Responsabile segreteria Teatro Scuola

Ma ascolta il silenzio dello spazio
il messaggio incessante che è fatto di silenzio
                                     R .M. Rilke

Immagino il silenzio primordiale. Una grande distesa di acqua immersa nell’oscurità più totale. Nessun fremito, nessun guizzo, nessuna voce. Eppure quel silenzio era  gravido di promesse. Quando fu pronunciata la prima parola e la luce esplose tutto divenne musica: cantarono le acque, cantò il vento e lentamente una dopo l’altra cantarono tutte le forme di vita. Nessun suono tuttavia, nessun rumore annullò il silenzio che dalla notte dei tempi accompagna il cammino dell’esistenza.

Noi abbiamo bisogno del silenzio.  Ci sono spazi di silenzio e un mistero del silenzio che devono essere conquistati. C’è il silenzio di un bambino nel ventre della mamma e il canto silente  della mamma  che addormenta il suo piccolo. C’è il silenzio del bambino imbronciato, e quello del ragazzo che si sente solo, incompreso; c’è il silenzio di chi prega, di chi affronta una malattia, il silenzio della miseria. Ci sono i silenzi estasiati dei monaci e di coloro che hanno scelto la solitudine per esaltare la bellezza della vita e il silenzio che racconta meraviglie dei luoghi: la pietra, la foresta, le sue radure parlano; l’acqua mormora il suo messaggio.

Ogni luogo può trasformarsi in un tempio che vibra di segreti e che si dispiega nel non dire. Esiste ed è straziante il silenzio della foresta abbattuta. E’ spaventoso il silenzio dei luoghi sconvolti da un terremoto, da un’alluvione, da una tempesta. E’ terribile il deserto che nasce da una tragedia nucleare. Ancora di più  è disperante il vuoto di parole che rimane dopo un bombardamento. E’ un silenzio rotto da pianti e lamenti, dall’assordante silenzioso dolore per la disumanità dell’uomo.

Il silenzio è sensazione, percezione, scambio. Universo interiore, ma palpabile, canale di comunicazione. Straordinaria la magia del silenzio di due occhi che ti guardano, ti interrogano. Non sono parole, ma penetrano nel profondo, scuotono, suscitano interrogativi.

Ho ancora nella memoria lo sguardo di Lucia, una bimba incontrata nei miei primi anni di scuola. Non sapeva parlare, non voleva parlare. Le parole degli adulti l’avevano ferita. Due enormi occhi neri si posarono su di me il primo giorno di scuola, in prima elementare. Per giorni furono loro che mi accompagnavano nella mia giornata. A volte la sera si sbarravano nella mia mente e mi impedivano il sonno. C’era in quello sguardo la forza di domande che non capivo, l’intensità di richieste che mi sembravano incomprensibili. Scelsi di dialogare con gli occhi e con le mani. Lasciavo che le mie emozioni trasparissero dal viso, dalla postura, dai gesti, lasciai da parte le parole e lentamente anche gli altri bambini impararono a guardare veramente, a ridare ai loro occhi la capacità di esprimere la propria interiorità. Giocavano con Lucia e lei li ascoltava, muovendo le labbra senza un suono.  Quanti momenti silenziosi, eppure quanta comprensione, quale comunicazione. Giorno dopo giorno gli altri bambini trovarono le parole da dirle.  Parole nuove. Parole mai dette prima veramente.  Parole sussurrate quasi a temere di rompere la magia creata dal silenzio.

Una mattina uscimmo. Viale Ca’ Granda a Milano era immersa nella nebbia primaverile dei primi giorni di marzo. Un albero di pruno era fiorito, forse nella notte. Il biancore dei suoi fiori esplose negli occhi di Lucia. Corse verso il tronco. Si appoggiò alla corteccia. L’accarezzò. Si sollevò sulla punta dei piedi per cercare di cogliere un fiore, per aspirarne il profumo. Poi si girò. Lei corse verso i compagni, sfiorò uno ad uno i visi e per la prima volta pronunciò i loro nomi, timidamente. Poi mi guardò e mi disse “loro sono i miei fiori”. Mai parole per me furono più belle. Nei lunghi mesi invernali, quasi come il seme sotto la neve, l’anima di Lucia aveva accolto dentro di sé la dolcezza della parola centellinata, della parola donata. L’aveva fatta crescere e germogliare fino a farla propria. E allo spuntare della primavera il suo silenzio scelto con dolore, vissuto con trepidazione è diventato terra feconda di parole e dialoghi che da quel momento non si sono più interrotti. 

Un precetto sufi recita “Se la parola che stai per pronunciare non è più bella del silenzio non dirla”. Ecco vorrei  davvero che l’esperienza del teatro che mirabilmente fonde  silenzi e parole, musica e canto, movimento e immobilità, buio e luce  potesse fare conquistare a ogni bambino, a ogni ragazzo e a ogni insegnante, attori o spettatori,  la dimensione interiore dell’ascolto, dello sguardo, della tensione verso l’altro che sole possono ricreare una visione del mondo e della vita basata sulla solidarietà, la comprensione, la scoperta e la condivisione della bellezza.